La bresaola rappresenta una delle scelte più comuni per chi cerca un’alternativa proteica relativamente magra nel banco dei salumi. Studi nutrizionali mostrano che 100 grammi di bresaola apportano circa 150 calorie, con circa 32-33 grammi di proteine e circa 2-2,6 grammi di grassi totali, valori inferiori rispetto a molti altri salumi stagionati. Questo prodotto ha conquistato la fiducia di sportivi, persone attente alla linea e consumatori che cercano opzioni più leggere rispetto ai salumi tradizionali. Ma siamo davvero sicuri di conoscere quello che finisce nel nostro carrello della spesa?
Il gioco delle etichette che confonde i consumatori
Quando acquistiamo bresaola al supermercato, la maggior parte di noi si concentra sul prezzo, sulla data di scadenza e magari sulle calorie. Quello che sfugge sistematicamente è un dettaglio cruciale: l’origine effettiva della carne utilizzata. Non parliamo solo di una questione di campanilismo alimentare, ma di trasparenza e consapevolezza d’acquisto che può fare la differenza tra un prodotto e l’altro.
Il mercato offre bresaole con differenze di prezzo anche del 200-300% tra una referenza e l’altra. Questa forbice così ampia non dipende solo dal brand o dal packaging accattivante, ma soprattutto dalla provenienza della materia prima e dai processi produttivi utilizzati, come la scelta del taglio, i tempi di stagionatura e le eventuali certificazioni di qualità.
Lavorazione italiana non significa carne italiana
Qui entra in gioco uno degli aspetti più discussi della normativa attuale. Un prodotto può riportare diciture che evocano l’Italia, come “lavorato in Italia”, “secondo tradizione italiana” o “prodotto da azienda italiana”, anche quando la carne proviene da allevamenti situati in altri Paesi, purché la trasformazione avvenga sul territorio nazionale, in conformità alle norme europee sull’indicazione del paese in cui avviene l’ultima trasformazione sostanziale.
La legislazione europea, infatti, consente di considerare come paese di origine quello in cui avviene l’ultima trasformazione sostanziale ai fini dell’origine non preferenziale. Nel caso della bresaola, questo significa che la salatura, speziatura e stagionatura effettuate in Italia possono essere sufficienti per alcune diciture di tipo “lavorato in Italia”, anche se il taglio di carne arriva da altri Paesi europei o extra-europei, purché in etichetta siano riportate le indicazioni obbligatorie sull’origine della carne.
Le zone grigie normative che favoriscono l’ambiguità
La situazione si complica ulteriormente quando le etichette utilizzano formule vaghe o poco comprensibili al consumatore medio. Frasi come “confezionato da”, “selezionato da” o riferimenti generici a località italiane nel nome commerciale non forniscono alcuna garanzia sull’origine della carne, poiché si riferiscono solo alle fasi di scelta, trasformazione o confezionamento e non necessariamente al luogo di nascita o allevamento dell’animale.
Alcune confezioni riportano bandiere italiane o immagini che richiamano paesaggi montani alpini, creando un’associazione mentale con la tradizione valtellinese, pur potendo utilizzare materie prime di altra provenienza geografica, come consentito per i prodotti non a denominazione registrata, purché l’etichetta non sia ingannevole rispetto all’origine effettiva secondo la normativa europea.
Perché l’origine della carne dovrebbe interessarci
Qualcuno potrebbe obiettare: se il prodotto finale è sicuro e controllato, che differenza fa sapere da dove viene la carne? In realtà, le implicazioni sono molteplici. Gli standard di allevamento differiscono notevolmente tra i vari paesi: i parametri per il benessere animale, l’uso di antibiotici e i controlli veterinari variano tra sistemi di allevamento, come evidenziato più volte dall’Agenzia europea dei medicinali e dall’EFSA.
La tracciabilità della filiera è un altro aspetto fondamentale: sistemi completi permettono di risalire più facilmente all’origine in caso di problematiche di sicurezza alimentare, principio alla base dei requisiti dei regolamenti europei sull’igiene alimentare. Anche l’impatto ambientale gioca un ruolo importante, dal momento che il trasporto intercontinentale di carni ha un’impronta di gas serra maggiore rispetto a filiere corte, come indicato da diversi studi sul trasporto alimentare.
Non dimentichiamo poi la qualità organolettica: razza bovina, alimentazione e metodi di allevamento influiscono su tenerezza, contenuto in grasso e caratteristiche sensoriali della carne. E per chi acquista pensando di supportare produttori italiani, avere informazioni chiare diventa essenziale per compiere scelte coerenti con i propri valori.

Come decifrare correttamente le etichette
La chiave per un acquisto consapevole sta nell’imparare a leggere tra le righe. Per le carni bovine fresche, refrigerate o congelate, l’indicazione di paese di nascita, allevamento e macellazione è obbligatoria nell’Unione Europea da oltre vent’anni. Per i prodotti trasformati a base di carne, l’indicazione dell’origine è obbligatoria quando l’omissione possa indurre in errore il consumatore.
Nei prodotti a base di carne bovina dove l’origine è indicata, è possibile trovare specificato il paese di nascita, allevamento e macellazione dell’animale. Se tutti e tre i luoghi coincidono, può essere riportata la dicitura “Origine” seguita dal nome del paese. Quando differiscono, vengono specificati separatamente, secondo quanto previsto dalla normativa di settore. Questa distinzione può rivelarsi preziosa per capire effettivamente cosa stiamo portando in tavola.
Le certificazioni che garantiscono veramente
Esistono marchi di tutela che offrono garanzie concrete. La certificazione IGP (Indicazione Geografica Protetta) impone disciplinari precisi che includono area geografica, caratteristiche del prodotto e metodologie produttive specifiche. Nel caso della Bresaola della Valtellina IGP, il relativo disciplinare stabilisce i tagli utilizzabili, le modalità di salagione e stagionatura e i controlli a cui il prodotto è sottoposto, garantendo la corrispondenza a quanto dichiarato.
Attenzione però: non tutti i prodotti che richiamano una zona geografica nel nome possiedono certificazioni. Verificare la presenza del bollino ufficiale IGP o DOP è essenziale per distinguere un prodotto effettivamente tutelato da uno che utilizza solo un richiamo di marketing. Questa piccola accortezza può fare una grande differenza nella qualità di ciò che acquistiamo.
La differenza di prezzo nasconde informazioni preziose
Quando troviamo bresaola a prezzi particolarmente competitivi, raramente si tratta solo di un affare sullo scaffale. Il costo della materia prima incide in modo determinante sul prezzo finale: carni provenienti da contesti con costi di produzione inferiori consentono prezzi al dettaglio più bassi, mentre filiere con maggiori costi di allevamento, certificazioni o disciplinari di qualità tendono a riflettersi su un prezzo più elevato.
Non si tratta di demonizzare i prodotti più economici, ma di pretendere chiarezza. Un consumatore informato può scegliere liberamente se privilegiare il risparmio economico o altri parametri come origine, certificazioni e metodi di allevamento, ma questa scelta dovrebbe basarsi su informazioni complete e non su percezioni indotte da marketing ambiguo. La differenza tra una bresaola a 2 euro all’etto e una a 6 euro racconta una storia che merita di essere compresa.
Strumenti pratici per acquisti più consapevoli
Al di là della lettura attenta delle etichette, esistono strategie concrete per orientarsi meglio. Dedicare qualche decina di secondi in più all’acquisto per cercare attivamente le informazioni sull’origine della carne può sembrare un’azione banale, ma rappresenta il primo passo verso scelte più consapevoli. Fotografare le etichette di prodotti dubbi e verificarne le diciture con calma a casa permette di confrontarle con quanto previsto dalla normativa su origine, denominazioni e claim.
Confrontare sistematicamente prodotti di fasce di prezzo diverse dello stesso reparto, mettendo in relazione prezzo, origine dichiarata e certificazioni, offre una prospettiva più ampia sulle reali differenze qualitative. Rivolgersi al personale del punto vendita chiedendo chiarimenti quando le informazioni risultano poco chiare può rivelarsi sorprendentemente utile, soprattutto nei reparti gastronomia dove è possibile dialogare direttamente con chi affetta il prodotto e ottenere indicazioni puntuali sull’origine e sul tipo di bresaola.
La tutela dei consumatori parte dalla consapevolezza individuale. Nel caso della bresaola, come per molti altri prodotti, l’apparenza può ingannare e le nostre convinzioni sulla salubrità o sulla provenienza di ciò che mangiamo potrebbero basarsi su informazioni incomplete. Investire qualche minuto per comprendere veramente cosa stiamo acquistando non è pedanteria, ma un diritto e una responsabilità verso noi stessi e verso un mercato più trasparente. La prossima volta che ci troveremo davanti allo scaffale dei salumi, avremo gli strumenti per scegliere davvero.
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